Il Consiglio di Stato sull’applicazione del margine di tolleranza del 2% ex art. 34 bis DPR 380/2001 e i rapporti con la normativa regionale
1. Introduzione
Il Consiglio di Stato ha recentemente emesso una sentenza (n. 5895/2022 del 13.7.2022 che si allega in calce) con cui, accogliendo un atto di appello, ha riformato una decisione emessa dal TAR Lazio e quindi indicato un innovativo criterio di applicazione del meccanismo di calcolo del margine di tolleranza del 2% disciplinato dal comma 1 dell’art. 34 bis DPR 380/2001. La tematica riguardante i metodi applicativi del margine di tolleranza ivi indicato è di grande interesse in quanto strumento che risolve tante criticità emerse dopo la realizzazione di interventi edilizi, tanto che è stata oggetto di analisi in diverse procedure esaminate dallo studio e tema affrontato in un precedente articolo che, in particolare, si focalizzava sull’interpretazione e applicazione del secondo comma della norma ivi indicata (vedi Le tolleranze di cantiere come disciplinate dall’art. 34 bis D.P.R. 380/2001. Disamina di un caso pratico.).
La fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato ha una certa complessità e quindi è opportuno inquadrare la vicenda e gli elementi di interesse al fine di comprendere integralmente la tematica o comunque il principio espresso dal Giudice Amministrativo di ultima istanza.
2. Inquadramento
La vicenda, che poi è sfociata nel contenzioso conclusosi con la sentenza oggi commentata, si sviluppa a seguito di un intervento edilizio consistente in demolizione, ricostruzione ed ampliamento, effettuato mediante un meccanismo premiale introdotto da normativa regionale.
Il Comune di Roma, dopo un dettagliato sopralluogo, emetteva ordinanza di sospensione dei lavori e poi, dopo aver accertato la realizzazione di opere in difformità rispetto a quelle riportate nel progetto, comunicava provvedimento di rimozione o demolizione delle opere abusivamente realizzate. In particolare e per quanto di interesse per l’odierno articolo, il Comune verificava che il limite percentuale di incremento volumetrico previsto dalla normativa regionale (pari al 35% della volumetria o superficie lorda esistente) non era stato rispettato in fase esecutiva con conseguente realizzazione di volumetria in eccesso rispetto a quanto riportato in progetto.
Dopo l’introduzione di ricorso, il TAR del Lazio ordinava al Comune di procedere al riesame degli atti adottati. Tale riesame veniva effettuato e quindi il Comune confermava la sussistenza di elementi ostativi all’accoglimento dell’istanza formulata dal privato.
Atteso che le motivazioni sviluppate dal Comune a sostegno del provvedimento di rigetto risultano plurime, in questa sede ci si concentra sul rilievo tecnico che poi è stato oggetto dell’interpretazione in diritto. Nel caso di specie il Comune di Roma ha affermato che l’intervento di ampliamento è, come già in parte rilevato, stato realizzato oltre i limiti percentuali previsti dalla L.R. Lazio 21/2009 e quindi in violazione di tale normativa che prevede un limite di incremento pari al 35% della volumetria (o superficie lorda) esistente ove si proceda con interventi di demolizione e ricostruzione, ritenendo infine inapplicabile la disciplina in materia di margini di tolleranze costruttive o di cantiere. Tale impostazione è stata ritenuta corretta dal TAR del Lazio con la sentenza di rigetto gravata presso il Consiglio di Stato.
Dopo l’introduzione dell’atto di appello, il Consiglio di Stato ha nominato un tecnico e quindi richiesto di effettuarsi una verifica su alcuni parametri edilizi. In particolare e per quanto concerne la questione che interessa, il consulente nominato dal Consiglio di Stato ha concluso che “Dal confronto tra il volume nello stato Post-operam misurato con tecnica laser-scanner (1391 mc) e quello Ante-operam (1016 mc) risulta una variazione pari a 375 mc, ossia in termini percentuali una variazione del 36 %, di fatto coincidente con il superiore limite del 35% ci cui all’art. 4 comma 1 lett. a della LR 21/2009”. E’ opportuno precisare che la percentuale di variazione indicata dal verificatore è errata in quanto non corrisponde al 36% ma è leggermente inferiore al 37%; in ogni caso tale refuso non incide sul principio espresso dal Consiglio di Stato.
Acquisiti gli elementi e dati tecnici ricostruiti dal verificatore, il Consiglio di Stato ha concluso accogliendo l’appello su questo specifico punto ritenendo applicabile al caso di specie l’art. 34 bis DPR 380/2001 attraverso un’interpretazione e un meccanismo applicativo che, previa verifica, si è rivelato particolare e quindi affermando: “Per un altro verso, i calcoli posti a base del progetto appaiono sostenibili sulla scorta di un ragionevole approccio ermeneutico alla disciplina evocata, mentre le difformità realizzative vanno inquadrate nella ammissibile tolleranza” e quindi “a quest’ultimo rilievo viene in rilievo la ammessa tolleranza. Se in generale è noto il principio per cui in sede di ricostruzione di fabbricato preesistente non configurano un non consentito aumento di volumetria scostamenti di modesto rilievo conseguenti alla nuova struttura in cemento armato e rientranti nella c.d. tolleranza di cantiere (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. IV , 11/05/2007 , n. 2253), nel caso di specie il verificatore ha evidenziato come dal confronto tra il volume nello stato post-operam misurato con tecnica laser-scanner (1391 mc) e quello Ante-operam (1016 mc) risulti una variazione pari a 375 mc, ossia in termini percentuali poco al di sotto del 36% , e dunque- applicando l’ammessa generale tolleranza pari al 2 per cento, ex art. 34 bis d.P.R. 380 del 2001 – nella sostanza coincidente con il 35% di cui all’art. 4 l.r. 21 cit.”.
3. Commento, applicazioni pratiche e conclusioni
Il principio espresso dal Consiglio di Stato è interessante per i motivi che verranno esposti. Innanzitutto perché, discostandosi da una precedente interpretazione restrittiva del primo comma che prevede l’applicazione delle percentuali di tolleranza sulla singola unità immobiliare, applica tale margine su tutto l’edificio, e poi in quanto la percentuale viene applicata non sulla volumetria oggetto di premialità ma sull’intera volumetria dell’edificio preesistente e quindi aumentando i metri quadrati di tolleranza.
Per intenderci in maniera molto pratica e intuitiva, se il Consiglio di Stato avesse fornito un’interpretazione restrittiva della norma, ovvero avesse detto che la percentuale di tolleranza si deve applicare al dato numerico quantitativo (metri quadrati o metri cubi in eccesso) relativo alla volumetria oggetto di premialità, l’appello si sarebbe concluso con il rigetto e quindi ritenendo abusiva l’opera.
Attraverso una simulazione pratica risulta infatti che la percentuale del 35% oggetto di premialità è pari a 356,55 mc calcolata moltiplicando alla volumetria ante operam (1.019 mc) detta percentuale (1019 X 35%= 356,55). Applicando a tale volumetria “premiale” la percentuale del 2% prevista dalla norma richiamata, risulta quindi che la tolleranza ammissibile è pari a 363,68 (356,55 + 2%= 363,68) ovvero inferiore alla volumetria in eccesso realizzata pari a 372 mc (1.391 – 1.019= 372). Ne consegue che se il Consiglio di Stato avesse applicato tale interpretazione restrittiva (come tra l’altro sembra aver fatto il TAR Lazio) si sarebbe dovuto concludere qualificando come abusiva l’opera realizzata e l’inapplicabilità del margine di tolleranza disciplinato dalla norma citata.
Tuttavia il Consiglio di Stato ha ritenuto di applicare una metodologia diversa e quindi fornito un’interpretazione estensiva della norma e, ritengo, più premiante. Il Giudice Amministrativo di ultima istanza ha infatti applicato la nota percentuale del 2% sull’intera volumetria di progetto realizzabile e quindi non solo su quella oggetto di premialità. In pratica il margine del 2% è stato calcolato sulla volumetria massima realizzabile con l’incremento premiale del 35% e quindi 1.375,65 (1.019+35%= 1.375,65) che quindi comporta che la tolleranza costruttiva ammissibile è sino ad un volumetria pari a 1.403,16 (1.375,65+2%=1.403,16), ossia quota superiore alla volumetria realizzata pari a 1.391,00 mc, con conseguente legittimità o legittimazione dell’edificio realizzato in difformità al titolo edilizio.
Francamente in Mvlexstrategy riteniamo questa interpretazione sicuramente interessante per i singoli operatori in quanto permette degli incrementi volumetrici molto interessanti e sicuramente lucrosi, tuttavia tale interpretazione potrebbe discostarsi dalla ratio della norma che, attraverso una lettura più sistematica, sembra che permetta l’applicazione dell’aumento percentuale su parametri edilizi diversi, ossia nel caso di specie sul margine di premialità.
Dall’altro lato non vi è dubbio che il metodo applicativo ivi indicato è stato indicato dal Giudice di ultima istanza della giustizia amministrativa e questo potrebbe portare i singoli operatori a farsi forti di questa autorevole interpretazione e quindi a chiederne l’applicazione in fase esecutiva o, meglio, dopo aver realizzato l’edificio in progetto ove sussistano delle difformità.
Analogamente ai nostri precedenti articoli, in Mvlexstrategy non ci esimiamo a fornire un indirizzo applicativo, tuttavia mentre in altri casi siamo stati diretti e immediati nel ritenere applicabile un metodo senza remore e quindi assumendo una posizione definita e netta, nel caso in esame riteniamo che la scelta di farsi forte della pronuncia appena commentata abbia dei margini di rischio in quanto, per esperienza, non è da escludersi che il Consiglio di Stato possa emettere sentenze difformi da tale principio sino quando eventualmente dirimerà il dubbio interpretativo l’Adunanza Plenaria allorché e se verrà chiamata a pronunciarsi. Allo stato quindi si suggerisce di applicare tale metodologia solo come ultima ed estrema strada per poter evitare un provvedimento di demolizione dell’edificio realizzato in difformità al progetto autorizzato.